Unione Petroliera: I Biocarburanti in Italia. Opportunità e Costi

29/09/2008 - Nicola Ventura

    E’ stato presentato oggi a Roma lo studio commissionato a Nomisma Energia dall’Unione Petrolifera, dedicato al tema “I biocarburanti in Italia. Opportunità e costi”. Un tentativo di fare un po’ di chiarezza su una materia controversa che presenta opinioni e punti di vista diversi non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Un tema di stretta attualità alla luce della nuova strategia di politica energetica europea, nota come “pacchetto 20-20-20”, che non mancherà di avere pesanti ricadute anche sul nostro Paese.

    Le principali conclusioni dello studio, illustrate dal presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, possono essere riassunte come segue:

    I consumi di biocarburanti attualmente contano per il 2,3% dei consumi mondiali di carburanti. Nella migliore delle ipotesi al 2020 potranno arrivare a coprire il 6% del totale

    Le esperienze di maggiore successo si sono avute in Brasile e Stati Uniti che insieme coprono circa il 92% della produzione mondiale di bioetanolo e l’11% di biodiesel. Paesi in cui si sono verificate condizioni particolarmente favorevoli come le forti eccedenze agricole da smaltire e politiche di incentivazione pubbliche. Negli Stati Uniti, nel 2008 circa un terzo della produzione di mais (oltre 100 milioni di tonnellate) sarà destinato a produrre bioetanolo (il doppio rispetto al 2006).

    In Europa si è proceduto in modo diverso rispetto a questi Paesi, preferendo porre degli obiettivi di miscelazione che per il 2010 è indicativamente del 5,75%. Un valore che è ufficialmente accertato non verrà raggiunto anche se la Commissione europea si è posta un obiettivo del 10% al 2020.

    Necessaria una più stretta collaborazione con l’industria automobilistica in quanto l’evoluzione dei motori ha imposto paramenti sempre più stringenti che limitano fortemente, a differenza del passato, la miscelazione con combustibili diversi dagli idrocarburi.

    L’effetto dell’applicazione in Italia della Direttiva 2030/30/CE – avvenuta con successivi provvedimenti – è stato quello di ridurre la produzione e il consumo di biocarburanti rispetto alle 200 mila tonnellate degli anni precedenti al 2007. Si rende pertanto necessaria una semplificazione dei meccanismi e un aggiustamento degli obiettivi.

    In termini di costi economici associati al maggior consumo di biocarburanti, appare oggi più conveniente il biodiesel rispetto al bioetanolo che presenta costi maggiori dal lato infrastrutturale. Il bioetanolo si renderà comunque necessario per raggiungere obiettivi di miscelazione più alti.

    Supponendo una miscelazione equilibrata tra i due biocarburanti, si stima un impatto complessivo sui prezzi finali al 2020 intorno a 2 centesimi euro/litro. Ciò tiene conto degli investimenti (400 milioni di euro tra il 2007 e il 2010), dei maggiori costi di produzione e delle mancate entrate per l’Erario (pari a 119 milioni di euro per il 2008, fino ai 492 milioni del 2020).

    Il vantaggio ambientale (riduzione delle emissioni di CO2), tenendo conto dell’intero ciclo di vita dei biocarburanti, diviene negativo nel caso di materia prima importata, come accaduto sino ad oggi in Italia, ed un risparmio di emissioni si ha solo nel caso di trasporto limitato dal posto di produzione delle biomasse. Il costo evitato della CO2 da biocarburanti è stimato in 150-200 euro/tonnellata rispetto a prezzi di mercato internazionale attualmente intorno ai 25 euro.

    In Italia per raggiungere l’obiettivo indicativo del 5,75% al 2010, servirebbero 2,1 milioni di ettari di superficie agricola, di cui 1,8 da oleaginose e 0,4 da mais. Il potenziale teorico è di 0,6 milioni. Ciò comporterà un massiccio ricorso alle importazioni che annullerà qualsiasi vantaggio ambientale. Ciò varrà anche in Europa dove, nella migliore delle ipotesi, si può stimare una copertura al 2010 del 50-55% (9 milioni di ettari su 17 necessari).

    Sino ad oggi i biocarburanti sono stati prodotti da produzioni agricole alimentari. La necessità di non incidere sui prezzi delle materie prime alimentari impone lo sviluppo di biocarburanti di seconda e terza generazione attraverso l’utilizzo diretto di cellulosa delle piante o il tessuto oleoso delle alghe. Ciò richiederà il ricorso a nuove tecnologie che potranno essere sviluppate solo nei prossimi anni.

    Intervenendo alla presentazione dello studio, il Direttore Generale dell’Unione Petrolifera, Piero De Simone, ha sottolineato quanto segue:

    Lo studio evidenzia bene come le attuali criticità legate ad uno sviluppo sostenibile dei biocarburanti, richiedano un’analisi attenta delle reali possibilità che essi offrono sotto il profilo energetico, ambientale ed economico. Ciò vale in particolare per l’Italia che ha messo in piedi un sistema di regole molto più articolato e complesso che non dà alcuna garanzia di efficienza rispetto alle esperienze degli altri Paesi europei, che presentano un quadro di certezze normative grazie ad una serie di condizioni difficilmente replicabili nel nostro Paese.

    E’ tuttavia un problema non solo italiano dal momento che, come sostiene lo studio, appare improbabile riuscire a centrare l’obiettivo indicativo del 5,75% al 2010 con le superfici attualmente disponibili. Una situazione che la nuova strategia ambientale messa a punto dalla Commissione europea (20-20-20) rischia di aggravare. Se poi si dovesse tenere conto degli effetti della “Direttiva fuel” all’esame del Parlamento europeo, allora lo sforzo appare completamente irrealistico.

    Il porsi obiettivi molto ambiziosi, difficilmente raggiungibili, presenta costi elevati per la comunità che vanno ad annullare i possibili vantaggi ambientali, dovendo ricorrere in misura massiccia alle importazioni, con una ulteriore perdita di competitività per il nostro Paese.

    L’industria petrolifera si sta adoperando per il rispetto degli obblighi previsti dalla legge, sebbene tra mille difficoltà visti i ritardi accumulati nell’emanazione delle norme di attuazione. In Italia, per raggiungere il 5,75% al 2010, per il solo biodiesel servirebbe un’area 8,5 volte superiore a quella attualmente coltivata a colza e girasole ed appare francamente poco probabile un simile sviluppo.

    Tali considerazioni non devono però essere interpretate come un atteggiamento di opposizione da parte dell’industria petrolifera, ma di attenzione agli sviluppi delle nuove tecnologie che diano soluzioni più avanzate e sostenibili. A tale proposito la scelta più responsabile sarebbe quella di “congelare” la situazione, fissando al 2020 obblighi indicativi e non vincolanti da rivedere in funzione dello sviluppo tecnologico futuro dei biocarburanti di seconda e terza generazione.

    La scelta tra biodiesel e bioetanolo sarà condizionata dalle condizioni che i due mercati presenteranno tenendo presente i vincoli prestazionali che saranno richiesti a questo tipo di carburanti e della loro interdipendenza con l’industria motoristica. Va sottolineato come percentuali superiori al 3% comporteranno necessariamente l’impiego di entrambi i prodotti.