Il futuro dell´idrogeno e quello della mobilità sostenibile

10/06/2009 - Nicola Ventura

    «È possibile che entro i prossimi 10, 15 o anche 20 anni riusciremo a trasformare la nostra in un’hydrogen-car economy? La risposta, temiamo, è no». È con queste parole, riprese dalla rivista Science, che il nuovo segretario all’energia degli Stati Uniti,

    il premio Nobel per la fisica Steven Chu, sembra aver affossato l’idea che il sistema di trasporto su gomma del futuro sarà fondato sull’idrogeno.

    Gli Stati Uniti, ha ripetuto Chu, vogliono cambiare il paradigma energetico fondato sui combustibili fossili e diventare il paese leader al mondo nella lotta ai cambiamenti climatici. Per questo si sono dati traguardi ambiziosi: abbattere le emissioni di carbonio dell’80% entro il 2050. Non sarà facile. Per questo il percorso deve essere realistico. Puntare sulle tecnologie possibili, non su quelle futuribili. Anche nel decisivo sistema dei trasporti. E l’idrogeno, secondo Chu, non garantisce il successo. Meglio puntare sulle auto ibride plug-in, quelle miste benzina ed elettriche (caricabili in rete con la spina in garage).

    La dichiarazione di Chu ha suscitato non poche sorprese e molte reazioni. Non solo nei centri di ricerca delle università e delle grandi case automobilistiche che sull’idrogeno stanno puntando. Ma anche al Congresso, dove si decidono i progetti tecno scientifici da finanziare.

    Ne è nata una discussione piuttosto interessante, che ci coinvolge. E che cerchiamo di riassumere. Steven Chu sostiene che l’idrogeno ha scarse possibilità di diventare a breve il cuore del nuovo paradigma energetico per due motivi. Perché, a tutt’oggi, non c’è un abbozzo di rete di distribuzione e difficilmente, in pochi anni, la rete di distribuzione dell’idrogeno potrà diventare capillare come quella della benzina e come richiedono i consumatori. Mentre per le auto ibride quella rete c’è già (la rete della benzina, appunto, e la rete elettrica).

    Il secondo motivo è che il costo di produzione delle cellule a combustibile, per quando sia diminuito (del 72% rispetto al 2002), è ben lontano dall’essere competitivo: è ancora il doppio rispetto a un obiettivo ideale fissato per il 2015.

    Per questo motivo, propone Chu, sospendiamo il programma di ricerca avviato sotto l’amministrazione Bush e finanziato con 1,5 miliardi di dollari e puntiamo tutto sul sistema ibrido.

    Niente affatto, ribattono i fautori dell’auto a idrogeno. I successi di questa tecnologia sono evidenti. Orami sono pronte auto con un’autonomia di 320 chilometri che tra poco giungerà ai 480 chilometri. Il sistema è così affidabile che le auto a idrogeno possono viaggiare per 2.000 ore senza richiedere manutenzione alcuna e presto si giungerà alle 5.000 ore. Ma, soprattutto, le auto a idrogeno, al contrario delle auto ibride, sono totalmente carbon free e, quindi, sono l’unico strumento utile per raggiungere, nel settore trasporti, l’obiettivo del cambio di paradigma energetico posto dall’amministrazione Obama.

    È vero, le auto ibride consentono un abbattimento relativo delle emissioni di carbonio, ribatte Chu: ma anche nella produzione a monte di idrogeno non è certo che potremo fare a meno dei combustibili fossili.

    Insomma, il dibattito negli Stati Uniti si riaccende. E ci coinvolge. L’Europa, per esempio, dovrà concordare la strategia tecnologica con gli Usa per giungere a una scelta comune o potrà portare avanti i suoi progetti in maniera autonoma? Avremo un sistema fondato sulle auto ibride negli Usa e un sistema fondato sulle auto a idrogeno in altre parti del mondo? Con quali conseguenze economiche, organizzative, ambientali?
    Il dibattito è aperto.
    Fonte: http://www.greenreport.it