Opel Ampera sempre più vicina alla realtà

27/06/2009 - Nicola Ventura

    Ormai il gioco è fatto, o almeno così la raccontano alla Opel, sostenendo che la ibrida Ampera è in via di industrializzazione, e sarà commercializzata entro la fine del 2011 in USA, Europa e Inghilterra con guida a destra e il marchio Vauxhall.

    Di Opel Ampera e Chevrolet Volt si è già parlato. Esposte al salone di Ginevra, a marzo, sono “quasi” elettriche, nel senso che con l’energia delle batterie hanno un’autonomia di 60 chilometri, poi interviene un piccolo generatore endotermico (un motore a benzina) che produce elettricità nella misura necessaria e sufficiente per mantenere il livello di carica nelle batterie e allungarne il range ad oltre 500 chilometri. Il sistema è definito (E-REV extended range electric vehicle) e garantisce emissioni zero per i primi 60 chilometri, con un livello di CO2 comunque inferiore ai 40 gr/km per i successivi 500.

    Considerato che la maggior pare degli automobilisti americani percorre quotidianamente circa 50 chilometri l’equazione inquinamento potrebbe teoricamente raggiungere il risultato zero. Il sistema di propulsione Voltec, questo il nome della forza motrice “intelligente” di Ampera, è costituito da un pack di batterie al litio (180 chili) che alimenta il motore da 150 cavalli, in grado di far accelerare la vettura sullo 0/100 in circa 9 secondi, in perfetto silenzio fino a 161 orari di velocità massima. E questo senza essere costretti a viaggiare su un’auto laboratorio, ma gratificati dalle linee eleganti della Ampera, una piacevole 5 porte con quattro posti e un capace bagagliaio, realizzata sul pianale della Chevrolet Cruze. Una volta in garage, l’auto si ricarica in 3 ore attaccandola ad una presa di corrente a 220 Volt. E il costo delle preziose batterie da 16 Kwh, agli ioni di litio, abituale punto nero delle ibride? Trascurabile, dato che sono garantite per 10 anni o 240.000 chilometri dalla stessa GM.

    Il principio, oggi applicato ad un’auto, si rifà a quello molto diffuso negli Stati Uniti, del treno diesel-elettrico. Privo di linea aerea, il treno USA è spinto da un grande motore diesel che funziona come generatore e produce energia per l’elettrico della stessa motrice.

    Opel però sta muovendo parallelamente passi anche in direzione dell’auto a idrogeno, un combustibile di elevato rendimento, ma che presenta attualmente problemi di stoccaggio e distribuzione. Il marchio tedesco della GM (almeno fino ad ora, poi sarà Fiat, Magna.. oppure?) ha trasformato dei SUV Antara con motore elettrico alimentato dalle fuel cell, che a loro volta si riforniscono di idrogeno da tre bombole di ultima generazione, sistemate nella zona posteriore della vettura. La pressione è elevata, fino a 700 volte quella atmosferica, e l’auto ha un’autonomia correlata alla capienza delle bombole stesse.

    Il sistema della pila a combustibile (adottato già da altri costruttori) altro non è che dispositivo elettrochimico – e per alimentare il motore elettrico della Antara ce ne sono 440 – entro cui le molecole di idrogeno, provenienti dalle bombole, e quelle di ossigeno dell’aria, vengono ionizzate, producendo elettroni, cioè energia elettrica, che viene convogliata al motore. E dalla marmitta esce acqua sotto forma di vapore.

    L’efficienza delle pile a combustibile oggi è molto elevata, però in origine occorrevano grandi dispositivi per raggiungere livelli di produzione elettrica soddisfacenti. Per ridurre il tutto a dimensioni e pesi adatti a circolare sulle strade, invece, si è percorso un cammino, iniziato nel 1839 con i primi esperimenti di Sir William Robert Grove, che impiegò elettrodi porosi di platino ed acido solforico come bagno elettrolita. La miscela di idrogeno ed ossigeno in presenza di un elettrolita produce elettricità, emettendo acqua. Il rendimento però è troppo basso per sfruttarlo in applicazioni industriali, e si deve arrivare fino al 1959, quando Francis Bacon, per dimostrare la positiva conclusione dei suoi studi usa una saldatrice alimentata da una pila da 5 Kilowatt.

    C’è sempre però un “black hole”, un buco nero per dirla come gli astronomi, che in ogni processo pone dei limiti oggettivi. Il catalizzatore formato da platino ha costi elevati, ma comunque affrontabili. Il possibile incaglio viene, invece, dalla utopistica sostituzione di tutto il parco veicoli mondiale con veicoli a pile a combustibile; sarebbe necessaria una quantità di platino circa 4 volte superiore alle riserve mondiali.

    Intanto le applicazioni sono di vario genere: in Svezia è stato creato un quartiere ecosostenibile a Stoccolma, in funzione fin dai primi anni ’90, alimentato da impianti a celle a combustibile per uso domestico. Solo il futuro potrà dirci in quale direzione andrà l’uomo.

    Fonte: http://www.repubblica.it