L’auto elettrica non è più un sogno

20/01/2008 - e2net

    L’ appuntamento è da Buck’s of Woodside, un caffè della Silicon Valley. Qui si ritrovano manager delle aziende hi-tech e dei venture capital della zona a fianco di personaggi chiaramente ispirati alla controcultura californiana degli anni 60. Felix Kramer, imprenditore trasformatosi in attivista verde, sta tenendo banco con il suo argomento preferito: le macchine elettriche e la riluttanza delle grandi case automobilistiche a produrle su vasta scala fino a quando non saranno meno costose e più affidabili. «Se i costruttori di telefonini si fossero rifiutati di produrli perché pesavano come un mattone e costavano mille dollari, oggi non li avremmo». E insiste: «arrogante non costruire la versione 1.0 fino a che non è perfetta».

    Il gruppo di Kramer – il California Cars Initiative (CalCars) di Palo Alto – ha preso in mano la situazione. L’associazione non-profit dispensa consigli su come convertire la Toyota Prius in un’auto elettrica ibrida di nuova generazione (Phev) con batterie in grado di durare più a lungo delle normali auto ibride. Anche i due leader mondiali, Toyota e General Motors, stanno testando loro stessi auto di questo genere, ma ne stanno ritardando il lancio commerciale a causa soprattutto delle difficoltà nello sviluppo delle batterie a ioni di litio. Kramer guida una Prius trasformata in Phev, con una scritta che recita «Questa ibrida elettrica percorre più di 100 Mpg (miglia per gallone, ndr)». Qualcuno fuori dal ristorante ha lasciato un biglietto sul cruscotto: «Sai dove posso comprare batterie per ibridi o Phev?».

    La scena è emblematica del clima che si respira nella Silicon Valley, diventata molto “hot” per il settore emergente dell’auto elettrica. Il Congresso Usa, la Commissione Ue e le autorità locali in tutto il mondo stanno spingendo per costringere i costruttori a produrre veicoli più puliti ed efficienti a livello di carburante.

    Lungo la strada che porta a San Carlos, la Tesla Motors sta sviluppando una macchina sportiva a batteria che sarebbe in grado di passare da zero a 60miglia (pocomenodi110chilome-tri) l’ora in meno di quattro secondi, meglio di una Lamborghini Murciela-go. Shai Agassi, ex presidente di Sap, ha raccolto 200 milioni di dollari (136 milioni di euro) per Project Better Place, una start up nell’auto elettrica. Che punta a sviluppare una catena di stazioni per le batterie che permetterebbe di ricaricare le auto rapidamente, rimuovendo così uno dei maggiori ostacoli all’adozione su larga scala dell’auto elettrica.

    La stessa Google, i cui fondatori sono entusiasti del progetto auto elettrica, ha messo recentemente a disposizione 10 milioni di dollari per investimenti nel settore. Il gruppo ha già finanziato Think Global, l’azienda norvegese che l’anno scorso ha avviato la produzione di mini car elettriche dopo aver raccolto 93 milioni di dollari dal venture capital. Al Google plex si sta anche studiando un progetto per la raccol-ta di dati relativi alle auto convertite in Phev come quelle di CalCars. «La Silicon Valley è nota per la capacità di innovare. Siamo stufi di aspettare che Detroit si muova, quindi stiamo studiando come innovare con la tecnologia», afferma Kirsten Olsen di Google.org, il braccio filantropico del gruppo che sta seguendo questi progetti.

    Nessuno pensa che la Silicon Valley possa prendere il posto di Detroit, Stoccarda o Toyota City come centro per la produzione di auto. Al di fuori di qui, analisti e aziende continuano a enfatizzare gli ostacoli che bloccano la commercializzazione dell’auto elettrica, a partire dal prezzo e dall’efficienza fino alla tecnologia delle batterie e la rete per la ricarica. Quello che la regione californiana può fare – e sta facendo in misura crescente – è finanziare e lanciare società in grado di incubare nuove tecnologie. «La Silicon Valley tende a essere più rapida nel cavalcare i trend, e possiamo replicare con le macchine quello che è stato fatto con i computer, internet e la telefonia mobile», sostiene Stephan Dolezalek di Vantage Partners, fondo che scommette sul cleantech avendo già investito in società come Tesla e Project Better Place. «La tecnologia dell’auto è fatta di elettronica e software,cose che noi sappiamo fare bene», aggiunge Ian Wright, fondatore di Wrightspeed, un’altra società che ha costruito un prototipo di auto elettrica.

    La stessa California è all’avanguardia nel campo dell’auto pulita, arrivando a scontrarsi con il Governo federale proprio in merito al diritto di regolare le emissioni dei veicoli. Già nel 1990 lo Stato aveva costretto i costruttori a dotarsi di modelli a zero emissioni stimolandola prima ondata di auto con motore elettrico, anche se non hanno avuto particolare successo. Da allora però la tecnologia, la legislazione e l’opinione pubblica sono andati avanti sulla strada avviata. Anche l’aumento dei prezzi petroliferi ha incentivato la crescita del comparto. I big automobilistici si stanno impegnando sull’auto elettrica: oltre a Gm e Toyota progetti legati alla nuova generazione di modelli elettrici sono allo studio da parte di Daimler, Re-nault/Nissan e Mitsubishi. Anche se l’auto elettrica non soppianterà quella a benzina, si prevede che si espanda in maniera esponenziale nell’arco del prossimo decennio.

    Le Tesla simboleggia il settore emergente dell’e-car con tutti i potenziali benefici e rischi. La società è nata nel 2003 con un capitale di 105 milioni di dollari, 37 dei quali forniti da Elon Musk, uno degli inventori di PayPal. Mentre buona parte delle concorrenti è costituita da microcar con un look molto “ecologico”, la Tesla Roadsterè una due posti di fascia alta, dalle linee aggressive sul modello della Lotus Elise. L’auto sarà messa in vendita a 98mila dollari e la Tesla sostiene di avere venduto su prenotazione l’intera produzione del primo anno, 800 vetture. «Faremo auto stupende, sexy e veloci – dice Darryl Siry, vicepresidente per vendite e marketing –. Svilupperemo macchine a zero emissioni che la gente vorrà comunque guidare». Il cuore della vettura è costituito da migliaia di minibatterie, gestite in maniera affidabile e sicura. La tendenza al surriscaldamento è uno dei limiti della batterie a ioni di litio. Ma Tesla dice di aver fatto test accuratissimi legati alla sicurezza.

    Il costo delle batterie al litio è un altro elemento frenante. Se Gm e Toyota sostengono che i Phev diventano redditizi solo sulla base dei grandi numeri, la scelta di un veicolo di fascia alta garantisce a Tesla di scaricare i costi sul consumatore. Con l’evoluzione della tecnologia l’azienda confida di moltiplicare i modelli, compresa una sedan sportiva più economica: «Puntiamo a essere la Porche dell’auto elettrica, o la Honda, il cui business model non è solo vendere auto, ma anche motori». A dispetto delle sue ambizioni Tesla ha dovuto rinviare per due volte il lancio della Roadster per problemi tecnici. Mal’azienda deve anche mettere in piedi una rete di assistenza adeguata. D’altra parte è proprio questo uno degli ostacoli cruciali che ogni produttore di nicchia si trova ad affrontare nella sfida ai grandi dell’auto.

    E uno degli snodi decisivi che frenano l’espansione su larga scala dell’auto elettrica è proprio quello della rete di assistenza e di ricarica dei veicoli. I modelli in fase di sviluppo, come la Chevrolet Volt di Gm, saranno ricaricabili da una qualsiasi presa di corrente. Il modello potrebbe funzionare negli Stati Uniti, dove i proprietari di auto hanno solitamente un garage, meno in Europa e in Giappone, dove le auto vengono parcheggiate per strada. Toyota ha recentemente annunciato un accordo con la utility francese Edf per lo sviluppo di punti pubblici di ricarica in tutta Europa, insieme a un sistema per il pagamento.

    Shai Agassi, l’imprenditore israeliano che ha avviato il Project Better Place, propone una soluzione radicalmente diversa. La sua idea è quella di sviluppare una rete di punti di ricarica e di stazioni per il cambio delle batterie, dove gli utenti possano cambiare le loro batterie con altre cariche in cinque minuti. Le prime auto elettriche hanno fatto flop proprio a causa dei costi eccessivi della ricarica. Agassi pensa a un sistema in cui le batterie siano di proprietà di società come la sua, il che avrebbe l’effetto di ridurre significativamente i prezzi dei veicoli. Sul modello degli operatori telefonici con le torri di trasmissione per le comunicazioni mobili, i proprietari delle infrastrutture dovrebbero sviluppare una rete in grado di garantire la possibilità di viaggi sulla lunga distanza con le auto elettriche. Gli utenti avrebbero diversi piani tariffari per le loro batterie, esattamente come con i cellulari.

    Dal 2006 Agassi ha girato il mondo per convincere costruttori, policymaker, compagnie petrolifere ed elettriche. L’obiettivo primario sono le “isole di trasporto”, luoghi ad alta densità di abitanti dove la maggior parte dei viaggi sono sulla corta distanza. Ha lanciato l’idea nel suo Paese d’origine, Israele, conquistando il sostegno del presidente Shimon Peres. Anche la Gran Bretagna potrebbe essere un terreno fertile, ma la Cina sarebbe ideale, con le sue aree urbane ad alta densità di popolazione. «L’impressione è che tra i costruttori ci sia lo stessa clima dell’Ipo di Netscape – sostiene Agassi –. Dicono: “Dobbiamo esserci”». Altri analisti del settore contrappongono gli ostacoli tecnici al cambio delle batterie, mentre è generalizzato lo scetticismo per quanto riguarda la performance e altri fattori che frenano l’utilizzo generalizzato dell’auto elettrica.

    Agassi riconosce che la sua reputazione dipende dall’idea. La Silicon Valley – nota – ha ormai una tradizione consolidata di trainare l’innovazione mettendo insieme tecnologie all’avanguardia con nuovi modelli di business: «Abbiamo tecnici dotati di senso del business, abituati a prendersi rischi».  

    Fonte: www.ilsole24ore.com – Financial Times