Biocarburanti: in 10 anni potrebbero alimentare 50% auto

04/07/2008 - e2net

    PERUGIA (Reuters) – Sostituendo la benzina e il diesel con biodiesel e bioetanolo ottenuti dalla filiera ligno-cellulosica, nell’arco di una decina d’anni l’Italia potrebbe produrre dal 30 al 50% del fabbisogno di carburante per il trasporto su gomma, con una forte competizione sul prezzo e nessun impatto sulla filiera alimentare. E’ quanto sostiene il Centro nazionale di ricerca sulle biomasse dell’università di Perugia (Crb) nella sua proposta per il Documento propedeutico al piano nazionale dei biocarburanti e delle biomasse agroforestali per uso energetico del ministero delle Politiche Agricole.

    Lo spiega a Reuters il professor Franco Cotana, direttore del centro e ordinario di Fisica tecnica industriale alla facoltà di Ingegneria.

    Secondo i dati del Crb, se sostenuto da un’opportuna pianificazione nazionale il piano “può determinare una produzione di circa 17 milioni di tonnellate l’anno di biocarburanti, attraverso un investimento nazionale pari a circa 500 milioni di euro, per la realizzazione di 35 impianti, con tempi di ammortamento dei costi degli impianti di circa cinque anni”, spiega Cotana.

    A dimostrazione del fatto che “non si tratta di fantascienza, si può prendere ad esempio il modello di Freiberg, una cittadina vicino Dresda, ovvero il primo impianto di biodiesel al mondo che produce 18 milioni di litri l’anno di biodiesel ed è costato 70 milioni di euro”, continua il professore.

    Come applicare in Italia un modello del genere? Secondo Cotana “basterebbe coltivare i circa tre milioni di ettari di terreni abbandonati e riconvertire i poli industriali chimici”.

    Insomma, recuperando paglia, ramaglie, cippato di legno, potature, residui della lavorazione del legno e colture come la robinia pseudoacacia — una pianta infestante — secondo il Crb si potrebbero ottenere doversi risultati: “Carburanti a prezzi competitivi (il biocarburante di seconda generazione si potrebbe vendere ad 1 euro al litro), bassi costi e poco dispendio di energia per la produzione, nessuna riduzione di terreni destinati all’agricoltura tradizionale, efficienza di una filiera tutta nazionale e rispetto ambientale”.

    NESSUNA INTERFERENZA CON IL SETTORE ALIMENTARE

    Un simile processo, secondo Cotana, non entrerebbe in competizione con la filiera alimentare.

    “Quando si parla di biocarburanti c’è il rischio di ribaltare la realtà, sostenendo che le colture utilizzate a tale scopo sottraggano risorse al settore alimentare”, spiega Cotana.

    Occorre “smentire l’equazione ‘biocarburanti uguale fame’, che vorrebbe imputare alle colture dedicate alle biomasse la responsabilità di affamare il mondo. E’ successo alla recente conferenza della Fao a Roma, come hanno riportato autorevoli media”.

    Cotana spiega che bisogna distinguere i biocarburanti di prima generazione — il bioetanolo ricavato dai cereali e il biodiesel da olii vegetali — da quelli di seconda generazione, che invece sono ricavati soltanto dalla filiera ligno-cellulosica, utilizzando potature, scarti legnosi o forestali e colture su terreni marginali e abbandonati.

    I biocarburanti di prima generazione sono criticabili in quanto è calcolato che il rendimento ottenuto non è sufficiente a considerarli convenienti. I biocarburanti di seconda generazione invece — quelli proposti dal Crb — “rendono molto di più, determinando effetti positivi sia a livello economico che ambientale”, conclude Cotana.

    Fonte: http://www.borsaitaliana.reuters.it